Ciao sono kekkoz e lo so che vi avevo detto “buon anno” e tutto, e invece niente. I film escono a Capodanno ma domani sarete tutti disfatti, quindi portiamoci avanti.
Per iniziare come si deve il decimo anno (ebbene sì, la vecchiaia signora mia) di Friday Prejudice, ho chiamato una bella personcina con la barba che di sicuro conoscete per il suo blog, se non per la radio o per la tele o per i mille posti dove scrive, riuscendo peraltro a essere sempre uno dei migliori ovunque lo troviate. Insomma, Matteo Bordone è il primo autore dei pregiudizi del 2015.
Si accettano miracoli
Alessandro Siani, in forma come sempre, fa delle battute in italiano con accento napoletano, o in napoletano addolcito, in modo che sia comprensibile anche per quelli di Varese. È molto buffo, un po’ scanzonato, mannaggia. Fabio De Luigi invece è un goffo, certe volte inciampa, fatica a interpretare appieno il suo ruolo di [MESTIERE] nella società, fa quello che può, simpaticamente, e tutti gli vogliono bene, ma l’unica che lo fa sentire in pace anche con i propri difetti è [NOMEDIDONNA].
In questo caso De Luigi fa il prete, quindi è facile che la donna sia una perpetua platonicamente un po’ innamorata di lui, una mammona ziona, ma forse non c’è. Siani è il fratello, ex manager ora costretto alla vita semplice, combining some of all colours. È bello che nella commedia, dai tempi di Plauto, si raccontino queste storie di fratelli e gemelli e scambi di persona e di ruolo, sempre uguali identiche da 2000 anni, e certe volte funzionano. Si accettano miracoli strizza l’occhio a Don Camillo e Peppone, ma più che strizzare occhi pesta piedi. È peggio di Un povero ricco o Il ragazzo di campagna con Pozzetto, ma è più o meno quel tipo di roba lì. Fosse venuto bene, sarebbe uscito qualche settimana prima. Non è venuto benissimo.
Postino Pat
Il regista Mike Disa è uno di quelli della vecchia scuola dei cartoni: ha lavorato a Pocahontas, Il gobbo di Notre Dame, Hercules, Tarzan. Poi sono arrivati quelli della Pixar, e John Lasseter ha fatto piazza pulita. Mi sono convinto, guardando le date e le filmografie, che Disa sia un piazzapulitato. Ha anche fatto un primo film da indipendente fuori dagli studios, Hoodwinked Too! Hood vs. Evil, che è stato un bagno di sangue. Qui c’è il postino Pat che va in vacanza in Italia con la sua allegra famigliola, e via di capitomboli, quante avventure disegnate maleeee, sagomacce! Probabilmente questo è un film talmente brutto che potrebbe anche essere bello.
Big Eyes
«Erano anni che non andavo più a vedere Tim Burton perché mi ero un po’ rotto le balle delle fiabette gotiche eccetera… sai… e invece devo dirti che questo Big Eyes…» vi troverete a dire ai vostri amici. Cioè io lo direi. Erano anni che mi ero rotto le palle con queste burtonate da cartolina tutte assurde e gotiche e fumettose ma in fondo fatte male, e invece questo devo dire che a suo modo funziona. Brava lei, Amy Adams, che scopriamo anche vestita senza quegli scolli fino all’ombelico; un po’ più monocorde Christoph Waltz, sempre un po’ troppo in parte, troppo beffardo e recitato, che in Tarantino va bene, ma qui… È Tim Burton, ciccio, cosa ti aspetti? Hai ragione anche tu. Eh. Posso andare avanti? Prego.
La storia è quella di quelle illustrazioni tristissime delle fiere, quelle con i bambini con gli occhi enormi che le faceva lei ma invece lui fa finta di essere l’autore e la sposa anche. E poi grande mistero e grande disvelamento, grande scandalo pubblico, momento della verità, sono Edward Kimberly, Edward Kimberly! Quello era Tootsie, ciccio, ma cosa dici? Eh, lo so: è che mi manca Pollack. Anche a me. Tanto.
The Imitation Game – L’enigma di un genio
Genio, omosessualità, sregolatezza, cogli la prima mela: Alan Turing salva il mondo ma il mondo lo fa fuori perché è scomodo. La storia del genio matematico che risolse il codice Enigma dei tedeschi e contribuì alla sconfitta di Hitler, finito poi in disgrazia per quel suo vizio del cazzo che il Regno Unito tollerava molto male, è l’occasione per celebrare ufficialmente il nuovo fenomeno della recitazione inglese, cioè Benedict Cumberbatch, quello col nome strano che ogni volta ti fa girare gli angoli della bocca in basso da quanto è bravo ma quanto. Questo tipo di attori a un certo punto finisce a fare il film da Oscar, tipo Meryl Streep che fa i vasi di fiori benissimo, le selle dei cavalli da dio, e se la metti a fare Topo Gigio, guarda, ho fatto tanto di quel piangere, è identica! E quindi becchiamoci quest’altro biopic con grande storia del Novecento, tema sociale scottante, nazisti cattivissimi, tormento esistenziale, servizi segreti, mistero e crudeltà: chi all’uscita non è tutto preso nella commozione è cattivo quasi come Bill Cosby dei Robinson.
American Sniper
Cosa c’è di meglio della patria, al mondo, dico io? La Patria: il senso della terra come origine identitaria, nazione viscerale da difendere nei suoi confini e anche nei suoi valori, quello che rappresenta, col mirino telescopico pem pem, nemici che muoiono uno via l’altro, per la patria, con quel fragile ma in fondo così esuberante e umano di Bradley Cooper che deve sopportare il peso del valore, dell’onore, del dovere, e altre parole simili pesanti e di tre sillabe. C’è anche l’amore perché un bravo soldato è anche un bravo padre di famiglia, santimadonniddio, e qui ci sono dei problemi a casa. Si è rotta la stirella, si vede. Ecco. American Sniper è l’ennesimo film che ci serve per dire definitivamente che Clint Eastwood si è rincoglionito. Poi fatto bene, emozionante, drammatico, per carità, niente da dire, ma anche uno di quei casi in cui si può mandare a cagare lo schermo alzandosi, mentre scorrono i titoli di coda, su musica con rulli di tamburi e ottoni a manetta.