Ciao sono kekkoz e non so voi ma io quando esce un film in sala vado sempre a leggere cos’ha scritto Gabriele Niola, alias gparker. Primo, perché è bravo come pochi altri. Secondo, perché ne ha quasi sicuramente già scritto. Per nostra fortuna, infatti, Gabriele fa questo di mestiere e quindi i film li vede tutti, e poi scrive di tutti i film che vede, e se ne ha perso uno lo recupera e ne scrive. Una cosa sempre più rara nei blog italiani e per questo preziosissima. Terzo, perché è bravo come pochi altri. Questo onnivorismo fa sì pure che il Niola sia ormai un luminare in categorie che altri tendono a schifare: potevo forse non affidargli la settimana in cui escono cotali vestigia di cinepanettoni?
Ciao sono Gabriele e questa settimana tocca a me far finta d’esser Kekkoz. Per l’occasione ho avuto la premura di non vedere nessuno dei film che escono. Volevo fare bella figura.
PRIDE
L’imprevedibile commedia britannica con gente molto ingessata e british, molto dura e pura, molto di provincia e poco cosmopolita che deve fare qualcosa di modernissimo e in questo fa molto ridere. Quando diciamo che le nostre commedie sono tutte uguali non pensiamo mai agli inglesi che dagli anni ’90 fanno sempre la stessa roba e il pubblico dei cinema monosala o bisala ne va pazzo. Fossimo negli anni ’50 sui cartelloni ci metterebbero uno strillone “RISATE RAFFINATE!”. Questa volta il binomio da sganasciarsi è operai vs. gay, stereotipo del worker inglese tutto virilità e valori di una volta contro quello dinamico dei gay degli anni ’80, signore timorate di Dio con vibratori in mano che si scatenano nelle discoteche, l’apoteosi della conquista dei diritti flagellato dall’essere una storia vera (PURE!!) con tutti gli attori inglesi sopra i 50 anni che conoscete. Interesse pari a zero, si meriterebbe la pecora nera della banalità se non fosse che è stato alla Quinzaine di Cannes e che Rottentomatoes gli dà un bel 94% (che diventa 97% considerando solo i TopCritics). Vorrei averlo visto per dissuadervi e sostenere che tutta quella gente stimabile si è in realtà rincoglionita. Invece non l’ho visto e il mio preponderante senso etico, nonchè la responsabilità di pregiudiziare per quel caro ragazzo che è Kekkoz mi impongono un pensatore.
STORIE PAZZESCHE
Si tratta più o meno del film che piace a tutti e di cui mi viene chiesto da un paio di settimane insistentemente: “Ma questo nuovo film di Almodovar?” io rispondo che non ne so niente, non mi risulta che Almodovar abbia finito di girare e così mi viene dato dell’incompetente. Siccome è vero (ma per altre ragioni) io lo accetto, però poi scopro che la distribuzione italiana fa una locandina con fondo giallo e font rosso in cui scrive Almodovar più grande di Damian Szifron (chiamali stronzi!) e in cui mette la palmetta vicino al nome del primo e non del secondo. Che il film sia argentino e non spagnolo ovviamente frega una mazza a nessuno. Tanto quelli sono tutti uguali. È noto.
È il genere di roba che non ti aspetti di trovare a Cannes e che invece nell’ultima edizione è stato chiamato a occupare la casella del comic relief, il film che verso metà concorso la fa prendere bene un po’ a tutti. Poi si ricomincia con la roba dura. Io quando è passato chissà che stavo facendo, magari facevo shopping in un negozio BVLGARI della croisette o ero in gita sullo yacht di qualcuno, fatto sta che non l’ho visto ma del resto nessun conoscente mi ha detto “Hey devi recuperarlo assolutamente!”.
Che poi l’Argentina sono una decina d’anni che fa uscire buoni film e per garantire agli stranieri che si tratta di film buoni per loro ci mette sempre lo stesso attore: Ricardo Darìn. In Storie pazzesche c’è Ricardo Darìn. Fine del pregiudizio.
LA STORIA DI CINO
L’unico trailer che dovete vedere questa settimana è quello di La storia di Cino. Uno straordinario esempio di film italiano da deridere della settimana: ammiratene i fondali in CG realizzati con MS Paint, godete dell’effetto notte con il blu sparato a mille (me lo immagino il regista che in sala di montaggio grida “PIU’ NOTTE PER DIO! HO DETTO PIU’ NOTTE!!!” con risata malvagia) e notate la sofferta recitazione di alcuni dei peggiori bambini attori del paese (specialità in cui l’Italia eccelle), tutti abbigliati con costumi da musical di quart’ordine su I ragazzi della via Pal. Dietro al film c’è Carlo Alberto Pinelli, uno con un passato da documentarista (4 film), e che a giudicare dal montaggio epilettico non ha mai amato la finzione ma ce lo deve aver costretto un debito di gioco o simili. È il genere di film che il mio lavoro mi costringe a vedere ma che stavolta ho schivato non lo so nemmeno io come, di certo rimarrà in sala 10 minuti.
Una volta ci sono pure dovuto andare al cinema pagante a vedere una produzione scalcagnata di questo tipo, in un cinema remoto di Roma e nell’unico spettacolo in cui era programmato: alle 16.00. I gestori hanno a lungo confabulato se farmelo vedere o no perchè il mio unico biglietto poteva non valere il consumo della lampada del proiettore. Da quel momento il mio metro di giudizio per questa roba è in lampade di proiettore. Una lampada=magari non ve lo fanno vedere; due lampade=cercate di essere almeno 3 persone sennò col cavolo che ve lo proiettano; tre lampade=rischiate che tra che uscite di casa e arrivate al cinema l’abbiano smontato. A spanne direi che La storia di Cino è 1 lampada.
NEVE
Stefano Incerti è un regista specializzato in film che non ho visto. Il suo più noto è Gorbacioff in cui Toni Servillo fa Toni Servillo con la macchia sulla fronte e si mangia tutto un film risibile e quindi meglio che se lo sia mangiato. Uno showreel di Toni Servillo, un vlog di Toni Servillo in cui mette le parrucche come Willwoosh e fa un po’ di cose divertenti in giro come Frank Matano sperando che non lo riconoscano.
Neve sembra un ritorno ai fasti del suo passato in cui i suoi film non li conosceva nessuno o li si dimentica in fretta, dal trailer pare inoltre che sia il tipo di film che più si girano in Italia dalla fine degli anni 2000 ad oggi, ovvero quelli di genere che non sono di genere. Polizieschi di solito, alle volte gialli, raramente thriller, quasi mai horror che lo sono solo di facciata e riescono a tirar fuori da trame di genere un’italianata perfetta ignorando tutto quel che promettono. Cambiare tutto perchè non cambi nulla, raccontare il nulla che si è sempre raccontato ammantandolo di poliziesco, appoggiarsi sempre e solo ad attori che si struggono in lunghe scene fatte per far vedere quanto sono bravi a struggersi da soli, in cui piangono da soli in mezzo ad una stanza. Cose così. Pistole che non sparano se non in un finale che pare che sia successo chissàcchè! “Eh! E che è sto casino!?”
Fossi uno spettatore pagante mi ci dovrebbero portare legato tipo Hannibal Lecter a vedè sta roba.
IL RICCO, IL POVERO E IL MAGGIORDOMO
Che Aldo, Giovanni e Giacomo abbiano smesso di essere rilevanti nel 1997 lo sappiamo tutti, io però volevo iniettare nei pregiudizi un duro pezzo di data journalism riportando gli incassi dei loro film di Natale degli ultimi 10 anni per dimostrarvi come abbiano incassato sempre meno di film in film, eppure ancora escano al cinema, perchè nel Natale cinematografico italiano la tradizione conta molto più del film effettivo, nessuno guarda i trailer o bada alla pellicola in sè, a tutti interessa la locandina, che ci siano gli attori nelle loro pose caratteristiche. Non fosse che nel raccogliere i dati ho scoperto che hanno incassato sempre di più (cioè La banda dei Babbi Natale, porco cazzo, ha fatto 21 mln!!). Distrutto dalla notizia ho deciso di confessarvi tutto ciò. E arriviamo a questo punto.
Dal trailer si capisce pochissimo del film ma suppongo che sia in realtà proprio il film ad essere così, l’ultimo che ho visto (quello da 21 milioni) non aveva nessun senso ma tanta neve e Mina che cantava canzoni di Natale. Selling point, che poi in realtà nel caso dei film di Natale è rassicurativ point, Aldo che fa “MIIIIIII” con le mani che si agitano all’altezza delle orecchie (Check!), in più stavolta si punta sulla guepierre ampiamente mostrata da diverse attrici. Tutto molto divertente chiaramente e tutto molto Natale italiano in omaggio alla tradizione.
Vi siete lamentati e vi state lamentando di Ogni maledetto Natale (che invece è bello e non capite niente di niente)? Bene, ora andate a vedere questo.
MA TU DI CHE SEGNO SEI?
Lo aspettavate vero? Sono sicuro che alcuni di voi hanno anche saltato i film precedenti o li hanno letti in fretta per arrivare subito a questo. Dai, venite a sedervi qui vicino intorno a me che vi racconto una storia.
Tanto tempo fa Massimo Boldi, dopo più di trent’anni di film di Natale miliardari in coppia con De Sica, litiga con Aurelio De Laurentiis, ovvero l’uomo del Natale italiano, colui che plasma “il film che incassa” e lo plasma male perchè ce lo meritiamo così. I giornali scrivono che ha litigato con De Sica perchè all’epoca De Laurentiis non aveva ancora il Napoli e non se lo filava nessuno, in realtà lui si era allontanato solo da mr. Natale e così dall’anno dopo in poi fa uscire a cadenza quasi regolare un suo film di Natale autonomo, con la creme de la creme delle vecchie squadre dei film di Natale, i reietti di De Laurentiis, gente cacciata perchè non faceva i film male abbastanza (c’erano i Vanzina una volta, un’altra Oldoini, poi ci stava Enzo Salvi, Biagio Izzo, la donna forzuta, l’uomo più peloso del mondo…). Come Jake ed Elwood Blues tassello per tassello rimette insieme la vecchia band e torna, finalmente, a fare film orrendi in cui ogni oggetto finisce dentro il suo corpo o il suo corpo finisce dentro oggetti più grandi, con i neri che parlano da africani e i gay macchietta che vogliono penetrarlo per forza, in cui finalmente i raccordi di montaggio sono sbagliati (quante persone vedono un film prima che arrivi in sala?? Quanti vedono quegli errori e sorvolano??) e in cui finalmente è libero di dar vita alla sua comicità. Rassicurativ point di ogni trailer “Bestia che dolore!” e c’è anche in questo (Check!).
Olè fu il primo, c’erano i Vanzina (proprio “back to basics”) e Salemme, fece 8 mln di euro totali uscendo a Dicembre in concorrenza totale (eccolo il data journalism!). Un film italiano normale se arriva a 5 milioni si stappano le bottiglie e si grida al successo, spianando la strada agli Oscar, ma in tempo natalizio 8 mln non è niente e lui vuole arrivare ad insidiare i 15 o 20 mln di De Laurentiis (cifre folli!), così il secondo è più popolare, il film è identico al precedente ma ci mette lo sposalizio nel titolo: Matrimonio alle Bahamas e lo fa anche uscire prima, a Novembre, perchè per lui 8 mln sono unammerda, con tanto di Fichi d’india, così arriva a 9,8 mln. Ma non basta, il terzo dev’essere ancora peggio allora chiama Enrico Oldoini (il regista di Anni ’90, uno che non girava un film dal 2004 e non se n’era accorto nessuno, recuperato ubriaco e con la barba sfatta ad una proiezione di un film di Nuri Bilge Ceylan), ci piazza Simona Ventura e Elisabetta Canalis e io me lo ricordo, faceva veramente schifo tanto, eppure La fidanzata di Papà arriva solo a 7 mln (certo pure lui… Nè Natale nè riferimento alle nozze nel titolo… Ma chi si crede? Truffaut?!?), una cifra così bassa da spaventarlo. Allora di nuovo cambia tutto caccia via queste pippe, richiama Salemme e ci ficca la parola Natale del titolo (“Ma Massimo usciamo a Novembre!” – “Silenzio cazzo!!”) e così A Natale mi sposo fa di nuovo 8 mln mescolando neve e abiti da sposa. Poi la tragedia: in un tentativo disperato di acchiappare pubblico giovane e pensando di fregare Woody Allen sul tempo, l’anno dopo fa Matrimonio a Parigi con Willwoosh e incassa solo 4 mln. Non lo poteva sapere ma contemporaneamente anche il film di Natale classico, quello dell’ormai nemico De Laurentiis, andava lentamente in crisi, incassando sempre meno fino a costringerli a rivedere la formula (non più mille storie incrociate con scurrilità e tette varie per De Sica ma solo due episodi, con Lillo e Greg ad affiancarlo). De Laurentiis riprende moderatamente il volo e Boldi si chiude in un trienno di silenzio espressivo, distrutto da un incasso ingiusto per film che invece erano adeguatamente fatti male. Non riesce a capire il perchè, “Eppure è tutto scritto malissimo cazzo!” (lancia i fogli delle sceneggiature in aria). Quando alla fine di una profonda mutazione De Laurentiis caccia via pure Christian De Sica (cioè quest’anno) e l’ormai storico regista che da circa vent’anni siglava i suoi film di Natale, Neri Parenti, Boldi capisce che è il momento di riprovarci, coglie la palla al balzo e lo contatta.
Arriviamo così a Ma tu di che segno sei?, il ritorno di Boldi con Neri Parenti, di nuovo in uscita a Dicembre con Pio e Amedeo nel ruolo dei Fichi d’India una topa generica che di cognome fa Rodriguez, Gigi Proietti nel ruolo di Salemme e Salemme nel ruolo di Salemme, il film di Natale come l’abbiamo sempre conosciuto, con la merda e le tette. Dall’altra parte invece De Laurentiis ha portato a termine il suo piano diabolico e dopo anni di lavoro ha riplasmato le sue creature originarie, ha totalmente boldidesichizzato Lillo e Greg, li ha modellati ad immagine e somiglianza della coppia storica ma più blandi, come La donna che visse due volte (vedere trailer per credere) ma ha totalmente sbagliato la fica del film (Ambra Angiolini, risate) nel tentativo di rendere tutto più morigerato. Certo, il massimo del climax narrativo l’avremmo avuto se Massimo Boldi e Neri Parenti avessero convinto anche De Sica a fare la controriforma e combattere il male con i vecchi valori del cinema di Natale fatto di schifo come si deve, ma non è stato così. Secondo me se lo tengono per l’anno prossimo.