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Nei cinema dal 9 aprile 2015

Ciao sono kekkoz e qui una volta era tutta campagna e film giappocoreani. Il solito momento “bei tempi quelli signora mia” non potrebbe essere più adeguato nel presentarvi l’autore dei pregiudizi di questa settimana: prima di diventare un serissimo giornalista Francesco Rosano era uno dei (pochi ma buoni, anzi buonissimi) cineblog italiani, meglio noto come cineblob, uno di quelli con cui, appunto, si poteva andare avanti per settimane a pane e Takashi Miike. Bei tempi quelli signora mia.

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HUMANDROID

Neill Blomkamp è la cosa migliore capitata al cinema di fantascienza dai tempi di Matrix. Ha più o meno la mia età (quindi è giovane!), è sudafricano e ha girato quel CULTONE che è District 9: il che lo perdona (almeno per quanto mi riguarda) dall’aver poi realizzato Elysium. Humandroid è la versione estesa di un suo vecchio cortometraggio, di fatto la stessa operazione che aveva portato a District 9. Ottima premessa. Aggiungeteci l’androide dai sentimenti umani (Humandroid!) e una parata di attori degni della vostra fiducia, inclusi Sigourney “Ripley” Weaver e Hugh “Wolverine” Jackman.
Ok, vado a fare i biglietti.

IL PADRE

Il genocidio armeno trasformato in un road movie alla ricerca della famiglia perduta. Fatih Akin, nato in Germania ma di origini turchissime, ci ha abituato a un cinema dove dramma (La sposa turca) e commedia (Soul Kitchen) si scontrano sempre con i problemi dell’identità di chi è straniero nella propria (nuova?) patria. Con Il Padre si cimenta con una storia impegnativa che piacerà poco, ma davvero poco, al governo di Ankara. A Venezia71 non sono riuscito a vederlo. Ma Martin Scorsese sulla locandina mi dice che si tratta di “un film puro, epico, di grande intensità e bellezza”. Chi sono io per smentire il vecchio Martin?

WHITE GOD

Coproduzione europea, regista ungherese, premio Un Certain Regard a Cannes nel 2014 e discreto successo al Sundance. White God ha tutti gli ingredienti per essere un piccolo grande film del Vecchio Continente, oppure uno di quei film da festival (esistono ancora) che poi non si ricorda più nessuno. Però ci sono i cani, tanti cani, tutt’altro che pucciosi: reietti, con il sangue alla bocca, metafora pelosa degli ultimi. Difficile da ignorare.

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SE DIO VUOLE

Esordio alla regia di Edoardo Falcone, che viene dai Cesaroni e ha lavorato alla sceneggiatura di una mezza dozzina di commedie italiane 2.0 da cui mi sono tenuto alla larga (A Natale mi sposo, Tutto l’amore del mondo, Nessuno mi può giudicare). Per quanto mi riguarda ci sono abbastanza ragioni per passare altrove questo venerdì sera.

UNO ANZI DUE

Probabilmente questa è la settimana internazionale dei Cesaroni, perché Uno anzi due è il secondo film di un esordiente che viene dalla factory (Andy perdonami) della fiction più romana che ci sia. Commedia romanissima, forse pure troppo. Solo per fan dei Cesaroni, direi.

CI DEVO PENSARE

Che vi aspettate questa settimana dal cinema italiano se non la commedia di un esordiente che viene dal piccolo schermo? Stavolta è Francesco Albanese, uno dei volti del programma Made in Sud. Storia non originalissima di questi tempi: giovane meridionale perde il lavoro, ma si inventa una soluzione “originale” per andare avanti. Io non “ci devo pensare”: passo.

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AMELUK

Ameluk è l’esordio (un altro!) di Mimmo Mancini alla regia. Se vi state chiedendo chi sia, più o meno come ho fatto io, sappiate che si tratta dell’attore barese che ha il merito di aver partecipato al quel piccolo film cult dei miei anni universitari che è LaCapaGira (oltre che a decine di film e serie italiane: da Il Caimano di Nanni Moretti a Don Matteo. Un robusto caratterista, si diceva una volta). Stavolta Mancini ci prova mettendosi dietro (e davanti) la macchina da presa, con una commedia a sfondo etnico dove la pugliesità si mescola a una guerra “di religione” per la presenza di un musulmano nella Via Crucis del paesello. La fotografia ipersatura e le gag del trailer non mi entusiasmano, ma chissà che non ci sia qualcosa di più.

LA DOLCE ARTE DI ESISTERE

Un film “piccolo”, che uscirà in due sole città (Roma e Torino, al momento). Il veronese Pietro Reggiani non è nuovo a certi esperimenti: nel 2005 la distribuzione de L’estate di mio fratello fu praticamente un crowdfunding ante litteram (gli spettatori preacquistavano il biglietto, in modo da garantire alle sale la prima settimana di incassi). L’idea di base sembra convincente: l’invisibilità come malattia psicosomatica, piuttosto che come superpotere. Reggiani ne aveva già fatto una docufiction nel 2001 (Paolo Nulla – Un uomo invisibile). Stavolta ci riprova con qualche ambizione in più. Forse vale la pena premiarlo.

L’AMORE NON PERDONA

Donna sessantenne si innamora di un trentenne. Aggiungete il fatto che lui, oltre a essere più giovane di lei, è arabo e avrete la perfetta mistura problematica dei nostri tempi. A Stefano Consiglio piace parlare d’amore. Lo aveva fatto nel 2009 con L’amore e basta, dove raccontava le storie “normali” di nove coppie omosessuali. Stavolta ci prova con un film sentimental-impegnato che immagino agrodolce. Ma la mia digestione non regge.

ops

OOOPS! HO PERSO L’ARCA…  –

Ho visto il trailer. E niente: a me questi film d’animazione in 3D che sembrano fotocopie malriuscite di altro (stavolta tocca a Madagascar) mi intristiscono sempre un po’. Poi magari ci porti un bambino di 4 anni e ride. Se ne hai trenta in più potrebbe però essere un problema.